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Virtù e Fama di Santità > Fama di Santità

FAMA DI SANTITA'
fedelmente riportata da "Posizione e Articoli" del Padre Benedetto D'Orazio,
già Postulatore delle Causa di Beatificazione del Servo di Dio


Il P. Leone fu a dovizia da Dio fornito di doni celesti, che manifestavano all'esterno la sua santità.

Ebbe lo spirito di profezia.
Alla Signora Teresina Falcone, nel 1875, annunziò che darebbe alla luce due gemelli, un maschio ed una femmina, i quali poi presto sarebbero volati al Cielo. Annunziò la guarigione dalla bronco-alveolite alla Signora Marina Risi-Sessa, e lunga vita.
Ad Angiolina Rinaldi-Risi annunziò che darebbe alla luce un bambino, che, a differenza degli altri tutti morti, vivrebbe. Alla medesima insegnò una preghiera, alla cui recita il bambino, se fosse inquieto o piangesse, si metterebbe a dormire tranquillamente.
A Pasqualina Gisolfi predisse la nascita di due gemelli.
Predisse la morte del suo fratello Lorenzo, del Signor Giuseppe Cavalieri, del giovane Angelo Palmentieri, di due suore nel monastero di Serino, della Badessa Maria Colomba Santoli del medesimo monastero, della Badessa Chiara Alianelli delle Benedettine di Eboli, del Signor Michele Romano, di Monsignor Raffaele Ammirante, ecc.
Alla Signora Rosa Salsano Bosco inferma predisse che la febbre sarebbe scomparsa il 16 Ottobre, festa di S. Gerardo.
Profetizzò l'entrata nella Compagnia di Gesù a Giulio Milone.
Predisse la guarigione della signorina Maria Rosa Bove di Acerno, già agli estremi, e della Signorina Galise Stasio da malattia inguaribile.
Predisse la guarigione d'una Suora Benedettina, e la di lei nomina ad Abatessa.
Predisse in tre gravi malattie successive la guarigione della Badessa Chiara Alianelli delle Benedettine di Eboli.
A Teresa Astone già avanzata in età predisse che avrebbe rivisto in libertà il figlio condannato a 18 anni di carcere.
Nel colera del 1884, predisse in predica al popolo di Eboli che nessuno sarebbe morto di tal morbo, neppure un gatto.
Durante lo stesso colera, predisse alle Suore della Purità in Pagani, che non avrebbero sofferto neanche un mal di testa.
Alle Benedettine di Eboli, che stavano per essere espulse dal monastero, predisse che non sarebbero uscite dal medesimo.
Predisse a Suor Tecla Pellizzaro delle Suore di Regina Coeli in Napoli la conversione del fratello, e nello stesso tempo ad un'altra Suora la morte impenitente del di lei fratello.
Nel 1896, in Valle di Pompei predisse alla Superiora Provinciale di Reggio Emilia Suor Ildegonda Suora di Carità, la di lei elezione a Superiora Generale.
Nel 1890, predisse al Comm. Bartolo Longo la guarigione da mortale infermità, se avesse fatto voto di erigere un altare in onore del Cuore di Gesù.
Fece pure numerosissime altre predizioni, ed il fatto comprovò la verità delle sue parole.

Ebbe anche il dono di conoscere cose occulte e lontane.
Ad una Suora ricorda in confessione una disubbidienza da lei commessa 5 anni innanzi e dimenticata.
Legge nella coscienza di Antonietta Lombardi il 16 Agosto 1901.
Ad una Suora che gli aveva scritto una lettera per chiedere schiarimenti su certi dubbi, ma che poi non avea spedita, ricorda la lettera scritta e risponde ai dubbi proposti.
Risponde esattamente ad una lettera urgente dell' Abatessa di Eboli un giorno avanti che la lettera gli fosse pervenuta tra le mani.
Senza aver nulla prima saputo, annunzia in Angri l'ora dell'arrivo di alcune Suore di Cava.
Svela un pensiero occulto alla Signora Caterina Alianelli.
Stando in Eboli, annunzia la morte avvenuta in Acerra del Signor Paolo Sansone; come in Cava annunzia la morte della Superiora Generale delle Suore di Carità, avvenuta in Roma; stando in Napoli annunzia la morte del P. Ascenzi, avvenuta in Angri.
Al Signor Raffaele Visconti rivela tutti i peccati anche di pensiero.
Intuisce il desiderio occulto d'una Suora Benedettina di Eboli che bramava che il Servo di Dio, prima di partire, benedicesse il Cappellano infermo. Infatti le disse: "Non è volontà di Dio, preghiamo perchè faccia una buona morte". Il Cappellano poco dopo se ne morì.
Durante gli esercizi alle Suore di Solofra conosce un telegramma giunto ad Angri che lo chiamava a Napoli per la malattia grave della Superiora di Regina Coeli. Interrompe gli esercizi e si porta a Napoli e guarisce l'ammalata.
In Valle di Pompei avvisa che tutti si fossero allontanati da un certo luogo, ove poco dopo cadeva un fulmine.
Ad un uomo, che si presentava a lui per confessarsi, il Servo di Dio disse: "Va prima a deporre le ceneri del prete che porti indosso". Infatti colui per superstizione portava indosso le ceneri delle ossa di un sacerdote morto.

Fu anche frequentemente favorito di apparizioni e di colloqui con Gesù Cristo, con la SS.ma Vergine, con gli Angeli, coi Santi e colle anime del Purgatorio.

Nel Settembre 1891, mentre predicava alle Suore di Regina Coeli in Napoli, tacque improvvisamente e poi disse: “Recitiamo un 'De profundis’ per la Suora che è morta all'infermeria". Era Suor Leopoldina Angelisanti, che infatti in quel momento moriva.  Il Servo di Dio non  conosceva punto quella Suora, né sapeva della di lei malattia. Interrogato poi perchè avesse così interrotta la predica, rispose: "E' venuta Suor Leopoldina e toccandomi mi disse: 'Padre, Padre, preghi per me'." E ciò dicendo, rifaceva il verso che la Suora era solita fare in vita parlando. La mattina seguente dopo la Messa, annunziò essere la Suora già volata in cielo.

Né fecero difetto portentose sanazioni ed altri miracoli, che Dio operò ad intercessione di lui.
Guarì la Signorina Angiolina Rinaldi-Risi da una tenia, per il di lei stato di pregnazione, pericolosa.
Alitando tre volte in volto ad un morente, questi rinvenne, recitò col Servo di Dio un"Ave Maria" e guarì.
Con una benedizione guarisce, nel Settembre 1900, Rosina Bosco già agli estremi per tifo; come pure nel 1875 con una benedizione guarì Rosa Avagliano già spacciata dai medici.
Nel 1898 con un segno di croce alla fronte guarisce da acerbi dolori la giovane Grazia Di Florio.
Nel 1894, con una benedizione guarisce Suor Maria Crocifissa delle Benedettine di Eboli da mortale malattia.
Guarisce con un segno di croce la Signora Luigia Ferrari da un'ernia che le impediva ogni lavoro.
Al contatto di una lettera del Servo di Dio è guarita da febbri letali in Eboli la Suora Benedettina Maria Geltrude Maglione, e la Signora Giuseppina Vignola da morbo mortale.
Con una benedizione guarisce da pazzia furiosa il Signor Francesco Cuozzo di Eboli; ridona il latte alla Signora Teresina Avellino-Adinolfi; guarisce da ileo-tifo l'educanda Signorina Vitali dei Monastero di Regina Coeli.
Applicando un fazzoletto del Servo di Dio l'Abatessa Chiara Alianelli guarisce da un grosso tumore ad una gamba, e Suor Giustina di Regina Coeli da frequenti emottisi.

Fu anche spesso sorpreso in estasi e tutto rapito in Dio, col volto infiammato e rilucente, specialmente quando si trovava dinanzi al SS.mo Sacramento.

Così Pasqualino Gisolfi lo vide in estasi nella casa di suo padre.
Durante la predica alle Benedettine di Eboli resta estatico e vede la Madre di Dio benedicente le Suore.
Sebbene avesse un udito assai fino, pure spesso bisognava bussare alla porta della sua stanza tre o quattro volte, perchè era assorto nella preghiera. Le Suore di Regina Coeli spesso l'osservarono per lungo tempo in Chiesa, immobile e fuori dei sensi dinanzi all'altare del Sacramento.

Grande fu la fama di santità che il Servo di Dio ebbe in vita.
I Superiori e i Confratelli della sua Congregazione nutrivano per lui una stima particolare, e lo ritenevano per religioso veramente santo. In tutte le relazioni in cui si parla di lui, sia quando era novizio o studente, sia da sacerdote e missionario, sempre se ne parla con stima ed elogio. Ma non solo tra i Confratelli della sua Congregazione, ma anche fra gli estranei, ovunque passò, lasciò una traccia luminosa della sua santità. Già si è visto quale grande opinione di Uomo di Dio s'era acquistata in patria, specialmente nei quindici anni che vi passò dopo la soppressione degli Ordini religiosi. Clero e popolo dimostrarono grande rammarico, quando il Servo di Dio tornò nella Congregazione, e fecero tutto il possibile per ritenerlo con loro.

Nei 20 anni poi che rimase in Angri, questa fama di santità crebbe di molto e si propagò lontano, sicchè accorreva a lui gran quantità di gente, non solo del popolo, ma anche uomini ragguardevoli, sacerdoti, Prelati, ecc., venuti pure da lungi per chiedere l'aiuto del suo consiglio o della sua preghiera. A sottrarsi a tante visite il Servo di Dio, specialmente nelle occasioni di maggior concorso, soleva spesso allontanarsi da Angri, rifugiandosi altrove. Ma i suoi devoti scovato il suo rifugio, andavano a ritrovarlo anche colà, a costo pure di fatiche e di spese. Si videro molti Vescovi prostrarsi innanzi a lui e costringerlo a benedirli. Perfino miscredenti e malvagi cristiani gli dimostravano la loro stima, e si raccomandavano alle sue preghiere. In Angri, poi, ogni ordine di cittadini era pieno di riverenza pel P. Leone, e tutti si stimavano fortunati di possedere un tanto uomo nella loro patria.

Il Capo-stazione di Napoli, al vederlo, era solito dire ai circostanti: "Costui è un santo.". Egli faceva tutte le agevolazioni possibili per il viaggio. Il Professor Martuscelli Francesco avea tanta stima dei P. Leone, che conservava religiosamente le lettere di lui chiuse in una busta con questa soprascritta: "Scritti del Servo di Dio il P. Giuseppe Leone, il quale, verrà giorno, che sarà conosciuto.".

Grandissimo era il numero di lettere e telegrammi che gli giungevano da tutte le parti d'Italia per chiedere consiglio o preghiere, tanto che il postino di Angri gli portava più spesso la corrispondenza delle distribuzioni ordinarie.

Si faceva a gara per avere qualche oggetto che gli fosse appartenuto per conservarlo quale preziosa reliquia; e questa era anche una delle ragioni, perchè gli ammiratori del Servo di Dio tanto insistentemente gli offrivano indumenti nuovi, per ritenersi i vecchi.

Tutte le suore dei numerosi Monasteri che egli frequentò per il ministero sacerdotale, nutrivano per lui  stima singolare, tenendolo per uomo di santità non ordinaria, dotato di eroiche virtù, e favorito da Dio di doni soprannaturali.

Le educande delle Benedettine di Eboli gli avevano tanta stima, che tutte volevano sapere da lui la volontà di Dio per la scelta dello stato. Un'educanda dello stesso monastero non voleva confessarsi dal Servo di Dio, perchè udendo come tutti lo stimavano santo, temeva che le leggesse i pensieri della mente. E poi quando dopo qualche tempo s'indusse a presentarsi a lui, questi realmente le palesò i pensieri più riposti della mente.

Spesso per opera di ministero andava a Cava dei Tirreni, alloggiando presso il Rettore dell'Ospedale civile. Era accolto con gioia dagli amministratori, Suore, infermi ecc., perchè la sua presenza apportava a tutti una pace celeste. La sua dimora per tutti era una scuola di virtù. La notizia della sua venuta si divulgava in un baleno e gran numero di persone di ogni condizione, anche dei paesi circonvicini, accorreva a lui. Lo stesso avveniva in Napoli, in Pompei, in Eboli ecc. Ovunque insomma si portava era tosto assediato da grande moltitudine di gente attratta dalla fama della di lui santità.

Il Servo di Dio sospirava continuamente al Cielo, e perciò bramava che i lacci del suo corpo fossero presto sciolti. "O mio sommo Bene" (esclamava egli nella Lampada Eucaristica - Ringr. II -) "Quanto desidero di vedervi e contemplarvi a faccia svelata lassù nei cieli! Gesù mio, allegrezza mia, quando verrà la sospirata, tarda, lentissima morte? Quando, o Padre mio, mi chiuderete gli occhi alla luce di questo mondo? Quando sarò svelto da questo spinoso suolo e trapiantato nel giardino immarcescibile del Paradiso?
Signore, io vivo morendo e muoio vivendo. Dicono che io muoio, ma io vivo ancora! Mi chiamano scheletro, ma cammino e respiro ognora!".

Già in antecedenza conobbe le circostanze ed il tempo di sua morte.
Qualche anno prima di morire, fu in Napoli presso le Suore di Regina Coeli per subire un'operazione agli occhi. L'organismo del Servo di Dio, già tanto indebolito ed affranto, subì dall'operazione una forte depressione, che gli cagionò abbondanti emottisi. Il medico fu grandemente impressionato e temeva da un momento all'altro la morte del paziente. Le Suore erano in gravi angustie e preoccupazioni. Naturalmente tutti nascondevano al malato i loro timori. Ma, questi, chiamata una Suora, le disse: "Donna di poca fede, perchè temete? Io di questa malattia non morrò. Io ho pregato il Cuore di Gesù di non morire fuori di Convento, ed il Cuore di Gesù me l'ha promesso. Io dunque non morirò qui, ma nella mia cella."

L'ultima volta che andò al Monastero di Santa Teresa in Solofra, disse che prendeva congedo da tutti i monasteri, perchè non sarebbe più tornato; e poi soggiunse: "Quando cadrà qualche festività della Madonna in Venerdì, allora dite che il P. Leone è morto.". Infatti egli morì nel 1902, durante la Novena della Vergine Assunta in Cielo, festa che in quell'anno cadeva appunto in un giorno di Venerdì. Il 24 Luglio 1902, ossia venti giorni prima che morisse, il Sac. Gennaro Albano di Bracigliano andò a visitare il Servo di Dio in Angri. Questi, appena lo vide, gli disse: "Hai fatto bene a venire; così ci vediamo per l'ultima volta.". E ripetè questo per tre volte di seguito. Alle proteste del Sacerdote, il P.Leone soggiunse con sicurezza: "Dobbiamo partire.". Circa 15 giorni prima di partire, disse ad una sua penitente di nome Orsola Pisacane che s'era confessata: "Orsola, vi licenzio: è l'ultima assoluzione che vi  dò. State tranquilla e raccomandatemi al cuore di Gesù.".

Fu dopo la festa di S. Alfonso, il 2 Agosto 1902, che il Servo di Dio intese aggravarsi maggiormente i suoi mali, e si pose in letto per non più rialzarsi. Durante quegli ultimi giorni di vita tra i dolori delle sue malattie, non fece che pregare, e non potendo celebrare la S. Messa, riceveva con somma devozione la Comunione. Era calmo; sembrava che il suo spirito tra la violenza delle pene riposasse tranquillo tra le braccia della divina bontà. Aveva sofferto in vita un'agonia continua ed il Signore volle risparmiargli l'agonia della morte. La mattina del Sabato, 9 Agosto, mentre appoggiato come al solito, ad un mucchio di cuscini, recitava devotamente l'Ufficio, recitato a voce più sensibile il Gloria Patri, aggiunse: "Non ne posso più.", e svenne. Il fratello infermiere che era presente, si mosse a sostenerlo. Intanto il P. De Franciscis, chiamato con tutta fretta, venne e gli somministrò l'Estrema Unzione. Appena ricevuto questo Sacramento, il Servo di Dio placidamente spirò. La causa prossima della sua morte fu una paralisi cardiaca per l'esaurimento generale che l'avea completamente prostrato.

I funerali riuscirono solennissimi. Essendo la chiesa del Convento troppo piccola, clero e popolo chiesero che la salma venerata fosse trasportata nella Colleggiata, vasta chiesa che poteva contenere dalle 7 alle 8 mila persone. Ma neanche la Chiesa fu sufficiente a contenere la moltitudine enorme di gente accorsa anche dai paesi vicini. La piazza, le vie adiacenti, le finestre, erano gremite di popolo. Più che un funerale sembrava una festa. Tutte le campane della città suonavano. Molti piangevano per la commozione. Tutti vollero prendere parte al funerale. Il Municipio vi intervenne ufficialmente con due gonfaloni abbrunati. V'era tutto il clero secolare e regolare; v'erano i Domenicani di Valle di Pompei, i Redentoristi di Pagani con a capo il Superiore Provinciale, e molto altro clero dai dintorni. V'era pure il Comm. Bartolo Longo con la sua consorte. Malgrado la consuetudine mai violata d'accompagnare i cadaveri fino all'uscita della città, questa volta tutti, nonostante il caldo soffocante, vollero accompagnare la salma del venerato Padre fino al cimitero. Una delle più nobili famiglie di Angri, la famiglia Gargiulo, volle avere l'onore di conservare nella propria cappella funeraria la salma del Servo di Dio; finchè non fosse trasportata in luogo più degno.

Anche nella Basilica Pontificia di Pompei, a cura della Direzione di quel celebre Santuario, furono celebrate solennissime esequie con grande concorso di popolo e di persone ragguardevoli per rendere al Servo di Dio un attestato di venerazione e di riconoscenza per il grande bene, che egli operò per il medesimo Santuario.

Appena fu conosciuta la notizia della morte del Servo di Dio, fu rimpianto universale; si udiva da tutti esclamare: "E' morto il Santo!". Gli abitanti di Angri e dei paesi vicini accorsi ai funerali facevano a gara per avere qualcosa che gli fosse appartenuta. Si dovette fare buona guardia, altrimenti i devoti avrebbero spogliata la salma del Servo di Dio e saccheggiata la stanza.

Da tutte le parti, anche dalle provincie più lontane, arrivavano lettere e telegrammi che lamentavano la grave perdita del P. Leone. Tutti poi erano concordi in proclamarlo Santo, vero angelo di bontà e di conforto. Dappertutto si chiedevano le sue immagini, ed in modo particolare era grande la richiesta per avere qualche oggetto che gli fosse appartenuto per custodirlo gelosamente quale preziosa reliquia, ed impetrare così per sua intercessione le grazie del Cielo.

Vari periodici e giornali in lunghi articoli esaltarono la santità del Servo di Dio.
Il periodico la "Nuova Pompei" in diversi fascicoli ne celebrò le virtù e le opere sante.
La "Semaine Religieuse" di Montanban (Francia), nel numero del Settembre 1905, in un lungo articolo esaltò il Servo di Dio come uno dei santi dei nostri giorni.

Specialissima fu poi la venerazione che dimostrarono i suoi confratelli di religione.
Lo riguardavano vero figlio di S. Alfonso, pieno dello spirito genuino del S. Fondatore, modello perfetto di vita religiosa e di zelo apostolico. Perciò subito dopo la sua morte pensarono a raccogliere notizie per preparare i materiali occorrenti ad iniziare i Processi di Beatificazione. Anche molti personaggi del Clero e del laicato chiesero con istanze la sollecita apertura dei Processi per la glorificazione del Servo di Dio.

E questa fama di santità non si spense col trascorrere del tempo.
Dopo circa 18 anni dalla morte del Servo di Dio, i suoi confratelli, sempre fiduciosi di vederlo un giorno innalzato agli onori dell' Altare, pensarono a dare alle spoglie di lui una più onorifica sepoltura. Esse, infatti, furono tolte dal camposanto di Angri, e trasportate in Pagani, furono collocate nell'Oratorio pubblico annesso alla Casa dei Redentoristi.

Numerosi furono i miracoli e le grazie che Dio operò ad intercessione del suo Servo
.

Nello stesso anno della sua morte il P. Leone appare a Luisa Triglione per annunziarle la guarigione della sua nipote Antonietta maritata a Vito Triglione, in pericolo grave di vita, per un feto morto che non poteva espellere.

Un'altra nipote del Servo di Dio, Concetta Triglione, dopo 4 parti infelici, al 5° si trovò in grave pericolo di vita; ma al contatto di un'immagine del suo Santo zio ebbe un parto felice.

Nell'anno 1903, in Marsiglia, la Sig.ra Amalia Solofra, applicando un lembo di veste del Servo di Dio alla sua piccola Giuseppina affetta di meningite, ne ottenne pronta e perfetta guarigione.

Nel Dicembre 1902, a Cava dei Tirreni, Clementina Avallone ha una apparizione del Servo di Dio, e viene sanata da gravissima polmonite.

A Gragnano, il 15 Ottobre 1903, il piccolo Nicolino Nastro è guarito immediatamente, ad intercessione del P. Leone, da difterite.

In Bracigliano, nel Dicembre 1903, Angiolina Nandi ridotta agli estremi per polmonite, guarisce ad intercessione del Servo di Dio.
Teresa Vingiani è guarita da mortale malattia, per cui era già stata spedita dai medici.

Orsola Pisacani, inferma ed abbandonata da tutti invocava il Servo di Dio, suo antico confessore, il quale con segni prodigiosi induce una di lei amica ad andare ad assisterla; e poi la guarisce dall'infermità.

Nel Dicembre 1902, Domenico Sorrentino di Angri, guarisce da meningite secondaria ed infezione intestinale di forma gravissima, tanto che l'infermo era giunto agli estremi. La famiglia gli aveva posto in capo un berrettino appartenuto al P. Leone. Il medico stesso giudicò prodigiosa la guarigione.

In Angri, Luigi Marra di Domenico, fanciullo di 9-10 anni, cadendo si ruppe il cranio, per cui a giudizio dei medici di Angri e di Napoli la guarigione era impossibile, poichè non essendo stato curato in tempo, i piccoli ossi frantumati erano già necrosati. La madre pose sul capo del suo figlio un berrettino del P. Leone, ed ecco ad uno ad uno uscire dieci ossicini dalla ferita; e così Luigi guarì perfettamente.


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