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DELL' EROICA FORTEZZA
Nell'esercizio delle virtù, nello studio, nelle opere intraprese a gloria di Dio, nelle sofferenze, egli dimostrò una fortezza, una costanza meravigliosa.
Si è già parlato della lotta acerbissima che dovè sostenere per attuare la sua vocazione: tutto e tutti sembravano congiurati ad impedirgli la realizzazione del suo ardente desiderio. Ma egli con costanza invitta superò tutti gli ostacoli, e giunse a seguire la voce di Dio, che lo chiamava allo stato religioso.
Essendo di carattere nervoso e collerico, faceva tali sforzi per vincersi che alcune volte gli si leggeva nel volto la violenza che si usava. Per questa sua lotta costante aveva acquistato un grande dominio su se stesso; perciò appariva sempre calmo e sereno in mezzo alle contradizioni ed alle pene della vita.
Da Superiore si mostrava tenero come una madre verso i soggetti. Quando però si trattava di correggere qualcuno di qualche difetto, agiva con fortezza e senza umani riguardi.
Ma dove il Servo di Dio fece brillare la sua fortezza d'animo in un modo veramente ammirabile, fu nelle sue penosissime infermità che cominciarono a tormentarlo fin dalla gioventù, e non gli diedero, si può dire, un'ora di requie fino alla morte. Per comprendere quanto egli soffrisse, basta elencare le sue sofferenze, secondo quanto attestarono i medici.
Il Servo di Dio soffriva di rachialgia, ossia di forti dolori alla spina dorsale da non permettergli l'incurvamento, né qualsiasi movimento della stessa. Per questo era sempre costretto a mantenere sollevato il collo, sporgente il petto ed innalzate le spalle. Neanche in letto poteva trovare riposo, giacchè non poteva porsi a giacere supine o su d'un lato, ma era costretto a restare seduto, appoggiato a dei cuscini. Fin dalla gioventù fu affetto da bronchite cronica con abbondantissima espettorazione muco-purulenta, accompagnata da forti emottisi a periodi vari da 4 a 6 mesi. In modo particolare lo tormentava notte e giorno una tosse ostinata, che gli cavava lagrime dagli occhi, e non lo lasciava mai riposare. Però, fu osservato con meraviglia che, durante la celebrazione della Messa, non tossiva. Avea pure un senso d'ambascia e palpitazione, non per malattia organica di cuore, ma per la tosse insistente e per l'esaurimento generale. Inoltre le sue funzioni digestive erano penose per catarro enterico, accompagnate spesso da disturbi viscerali.
Sembrava, insomma, un cadavere ambulante. Eppure, in mezzo a tante sofferenze, mai una parola d'impazienza e di risentimento, ma sempre uguale e con il sorriso sulle labbra. Questo eroismo di pazienza fu notato da tutti, anche dai medici, i quali rimanevano stupiti, come mai un uomo tanto martoriato potesse mantenersi così calmo. Qualche volta si sentiva canterellare nella sua stanza: "Contento, contento - contento son io - Gesù nel Sacramento - è tutto l'amor mio". A chi lo compativa per tante sofferenze rispondeva: "Come? Così apprezzate voi le grazie ed i doni di Dio?".
Nel 1901, in una delle sue solite copiose emottisi era tormentato da un grande affanno. Domandato dal fratello infermiere come si sentisse, rispose: "Figlio benedetto sto facendo la volontà del Cuore di Gesù". E poi soggiunse: "Cuore di Gesù, dammi da patire ora che n'è tempo". Era insomma tale lo stato di sofferenza in cui era abitualmente, che molti di quelli che l'osservavano, ne restavano commossi ma insieme meravigliati per l'eroica rassegnazione e calma che dimostrava.
Parlando dei suoi patimenti, così scriveva alle Benedettine di Eboli: "Vivo di provvidenza divina, (intendeva le sofferenze) e sono contentissimo. Figlie mie, consoliamoci, che voi ed io siamo stati segnati dalla croce di Gesù C. Vivremo ancora, ma sempre in croce. La solita tosse mi martella; e così l'anima diventa più bella. Un occhio si è chiuso per sempre per aprirlo, come spero, più luminoso in Paradiso". Ed in un'altra lettera alle medesime scrive: "Nei patimenti canta in noi la sapienza di Dio e fa tali arcani concerti, che innamora tutto il Paradiso, delizia il Cuore di Dio ed attrae sulla terra grazie copiosissime".
In mezzo a tante sofferenze e con una voce assai debole era meravigliosa la costanza del Servo di Dio nello stare lunghe ore al confessionale, nell'ascoltare la grande moltitudine di coloro che a lui si rivolgevano per consiglio, nel predicare di frequente la parola di Dio e nell'applicarsi a numerose altre opere di apostolato.